In particolare le morti sono aumentate nel Nord-Ovest (19 in più), nel Nord-Est (+10) e al Centro (+7), mentre si registra una diminuzione nel Sud (-9) e nelle Isole (-5). A livello regionale spiccano le 15 denunce in meno dell’Abruzzo (da 19 a 4) e i sei casi mortali in meno in Sicilia (da 18 a 12). Nel complesso l’Istat registra una flessione delle morti bianche da 44 a 31 (-29,5%) nel Sud. L’aumento maggiore dei casi mortali si registra nei settori dell’agricoltura (da 133 a 141, +6%) e dell’industria e dei servizi (da 841 a 857, +1,9%).
Una morte su due ha coinvolto lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni, con un incremento di 29 casi (+35%). In diminuzione sono invece le denunce per i lavoratori sino a 34 anni (da 32 a 25) e per quelli tra i 45 e i 49 anni: da 26 a 17. Aumentano nel trimestre anche le denunce di malattie professionali: 16.124, pari a 877 casi in più (+5,8%).
Tra le cause dell’allarmante situazione non c’è solo la precarietà del lavoro cui si lega l’assenza sostanziale di formazione professionale, ma anche l’invecchiamento dei macchinari. L’associazione dei costruttori (Ucimu) aveva segnalato già nel 2016 in un report alla Camera dei deputati che “il parco macchine è molto più vecchio di quello di dieci anni fa, e l’età media è la più alta mai registrata da quarant’anni a questa parte”. D’altra parte c’è una impressionante carenza di investimenti da parte dello Stato in controlli e prevenzione dovuta al blocco delle assunzioni. A controllare 4,4 milioni di imprese provvedono solo 3.500 persone di cui 2.800 ispettori delle Asl (che nel 2008 erano 5.000), più 300 funzionari del ministero del Lavoro (addetti soprattutto al controllo nel settore edile) e 400 carabinieri. Il 97% delle aziende potrebbe dunque non esser mai sottoposto a controlli, e il padronato meno disponibile a verificare l’efficienza dei sistemi di protezione e di sicurezza imposti dalle leggi.